Anno: 2014 – 2015
Formato: Serie TV – 24 Episodi
Produzione: A-1 Pictures
Disponibilità: Netflix
La narrativa fantasy, pur non essendo per caratteristiche
concepita verso un target specifico, è quella che certamente riscuote maggiore
successo presso gli adolescenti, specialmente nei paesi occidentali. E si sa,
il mercato editoriale punta a massimizzare i guadagni.
In quest’epoca è veramente difficile trovare opere che si
assumono rischi a livello contenutistico, poiché sponsor e network non mancano
di far sentire il proprio peso.
L’osservatore non crea il mondo, ma gli da senso. L’originalità
significa tutto e niente al giorno d’oggi, poiché è veramente difficile creare
qualcosa di nuovo senza attenersi agli innumerevoli canovacci narrativi.
Esiste, tuttavia, la tendenza ad emulare nella speranza di
ottenere il successo altrui, perché cavalcare l’onda e riprendere le atmosfere
di Dragon Ball e One Piece è sempre più facile che partire da zero.
Nanatsu No Taizai non si presenta come un titolo di pura
evasione, mira a sottolineare i valori più puri attraverso un linguaggio molto
semplice e comune, mantenendo una narrazione fresca e leggera.
Si viene catapultati all’interno di un universo di cui l’autore
stabilisce da subito regole e leggi, salvo poi incappare in qualche svista,
come le gerarchie di forza che col progredire della storia appaiono sempre più
confusionarie e dispersive.
Chi si cimenta con questo genere non può inoltre ignorare
l’importanza della documentazione, che qui risulta solo abbozzata.
L’introspezione non è contemplata, il setting sociale e
storico non è assolutamente all’altezza, e non viene nemmeno sviluppato a causa
di una sceneggiatura più avvezza al fanservice esasperato, che strumentalizza
la figura femminile a più riprese.
Sappiamo che il Giappone non è il paese più facile da questo
punto di vista, come testimoniano le riforme attuate al termine dell’era Meiji,
ma il modo in cui quest’opera relega la donna è degna delle peggiori commedie
amorose del secolo scorso. Avrei anche potuto accettarlo negli anni 80, ma
ormai il panorama nipponico è notevolmente cambiato.
Insomma, un inno alla mediocrità; un’opera imbarazzante, rivolta
palesemente ad una frangia molto giovane, la quale brucia un incipit
interessante all’interno del solito mondo stereotipato, attraverso una
struttura narrativa abbastanza fiabesca che mescola comicità, azione e dramma
proponendo temi e situazioni scontate. Il character design infantile
contribuisce allo scopo.
Ricordate quando Mamoru Oshii (Tenshi No Tamago, Ghost In
The Shell, ecc.) affermò di produrre film soprattutto per se stesso? Ecco, qui invece
abbiamo la prova lampante di tutto ciò che racchiude la fredda logica del
consumismo giapponese.
Per una persona che guarda anime incessantemente dal 2009, è
veramente troppo.
Voto: 5
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