Anno: 1984
Formato: Lungometraggio
Produzione: Studio Pierrot
Disponibilità: Yamato Video
Mamoru Oshii rientra certamente nella categoria dei registi giapponesi
più rinomati all’estero assieme ad Hayao Miyazaki e Katsuhiro Otomo. Personalità
risoluta, vive la gioventù in un periodo di grande mutamento per il paese,
partecipando in prima persona alle contestazioni studentesche organizzate a
causa dei rapporti con gli Stati Uniti, eventi che lo forgiano avvicinandolo
agli scenari politici.
In ambito lavorativo è conosciuto per essere uno dei maestri
della fantascienza impegnata, abile nell’imbastire le sue produzioni con grandi
riferimenti alla cultura orientale.
Non esiste una scrittura impersonale, per lui il cinema non
è fonte d’evasione quanto un’opportunità per approfondire le proprie (come ama definirle)
ossessioni.
L’arrivo allo Studio Pierrot in pieno “Anime Boom”
(sollecitato anche dai nuovi modelli di fruizione), gli permette di partecipare
ad una serie come Lamù che raggiunge settimanalmente il 20% di share, e che
diventa fondamentale nell’interpretare un’epoca: esprime il benessere sociale
derivante dall’economia. Siamo infatti ancora lontani dallo scoppio della bolla
speculativa.
Perfettamente consapevole che il modo di narrare cambia a
seconda del medium, la sua poetica è influenzata dall’invasione cyberpunk che
avviene nella seconda metà degli anni 80, tuttavia questo lungometraggio getta
le basi del suo stile.
Inutile dire che nei prodotti destinati alle sale
cinematografiche è difficile sperimentare tecniche alternative poiché si punta
al guadagno facile per far rientrare i costi, ed i registi generalmente cercano
di non snaturare il franchise, ma Oshii non è il tipo che asseconda le esigenze
dello spettatore medio solo per denaro, difatti la pellicola riscuote poco successo
ai botteghini, anche se col tempo finisce per essere rivalutata.
Proprio 2 anni fa è stata rilasciata la versione Blu-Ray, e
sono attese novità anche per il mercato italiano.
Non è un caso che Rumiko Takahashi, autrice la quale ha
saputo unire come poche altre un collettivo ampio e variegato, abbia detestato
il lavoro di Oshii, giacché assistiamo ad uno stravolgimento completo del concept
della storia.
La visione dei primi minuti può ingannare, ma poi i toni
divengono più seri, l’immedesimazione sale, l’analisi introspettiva si fa largo,
l’immagine assume finalità metaforica e la scena nuova si oppone alla
convenzione precedente, enfatizzando l’aspetto fantastico nella forma più
concettuale e astratta.
Se l’efficace binomio fra sequenze dialogate e riflessive
funziona, il merito è di una sceneggiatura eccellente che offre possibilità di
espressione sterminate anche attraverso linguaggi diversi, fino ad arrivare al
punto nel quale ogni cosa si genera e distrugge, in cui i personaggi sono
impotenti dinnanzi al divenire, dove gli scenari post-apocalittici iniziano ad
occupare in maniera consistente la vicenda.
Oshii espone gli elementi a lui più cari: si passa dall’esistenzialismo
all’indagine metafisica, senza dimenticare l’atmosfera onirica che poi
riprenderà appena 12 mesi dopo in “Tenshi No Tamago”, donando quel senso utopico all'esposizione.
Nessuna negazione della realtà oggettiva ed effettiva, ma
viene a mancare uno dei principi fondamentali del cinema, quello per cui il
pubblico deve sempre capire tutto, verso l’esaltazione di un fruitore diverso.
La struttura, piuttosto circolare, lascia l’analessi per
l’epilogo, mantenendo dunque un ritmo narrativo continuo per intero.
Nonostante la cifra non elevatissima stanziata, la regia si
dimostra veramente accurata, in virtù di quell’idea secondo cui la forma prevale
su tutto; aldilà degli ottimi disegni, è Oshii stesso a sbizzarrirsi con le
inquadrature.
Talvolta, la narrazione cede il passo alla sembianza visiva,
con gli sfondi che giocano un ruolo importante poiché occupano gran parte della
fotografia finale.
Merita una menzione anche il comparto sonoro, che non manca
di far sentire il proprio apporto nei momenti decisivi accentuando lo stato di
inquietudine dei protagonisti.
“Beautiful Dreamer” non è solo una celebrazione dell’adolescenza, estrema provocazione al mondo otaku e
primo manifesto artistico di un regista capace di prendere un’opera senza
pretese e renderla pregna di significati. È un grandissimo prodotto proprio
perché non condivide nulla con l’originale.
A distanza di oltre 30 anni, questo film dal taglio surrealista
così saturo di citazioni dallo stampo storico, rimane uno dei più grandi di
sempre, quantomeno fra quelli tratti da serie televisive.
Voto: 9