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martedì 1 luglio 2014

Repubblica: “La legge anti-pedofilia risparmia i manga”

 
Il titolo fa riferimento alla testata dell’articolo rilasciato sul noto quotidiano lo scorso 19 giugno.
Che potete consultare qua.
Per una volta, ho deciso di scendere in campo al fine di difendere la “nostra” categoria, per anni bistrattata. Naturalmente nei limiti del possibile.
Nulla di nuovo sotto il sole, affermerebbe qualcuno, ma di certo è innegabile come Giampaolo Visetti si sia basato su un tipico luogo comune. Pertanto approfitto per dire che generalizzare è sbagliato in ogni contesto.
All’interno viene messo in chiaro sin da subito che la parola “manga” significa “immagini stravaganti”, quando in realtà con questo termine ci si riferisce unicamente alla nona arte, ovvero il fumetto giapponese.
Nel nostro paese c’è sempre stata estrema cautela con questo genere di prodotti, a detta di molti diseducativi e volgari.
Personalmente penso che abbia influito in maniera negativa anche il modo attraverso cui sono stati proposti per anni sulle varie emittenti televisive, con modifiche dei dialoghi ed un sacco di censure. L’intento di renderlo qualcosa di adatto solo ad una fascia d’età bassa, era palese.
I manga presentano varie analogie con un genere letterario molto conosciuto, vale a dire le fiabe.
Esse tendono a narrare percorsi di crescita o storie con insegnamenti dal carattere morale, ma la prima grossa influenza, è costituita proprio dal mondo reale.
Su ogni storia incide il periodo in cui viene scritta, e collega i lettori con un mondo che non comprendono pienamente sottolineando le paure e le esigenze.
Le accuse che solleva il giornalista, appaiono subito sterili: difatti all’interno del panorama nipponico sono presenti diversi tipi di racconti inerenti il fumetto, i quali indirizzano il lettore e permettono ad egli di scegliere ciò che più ritiene adatto per se.
Le componenti di cui parla, quantunque proposte anche in maniera discontinua, descrivono la natura dell’essere umano da una prospettiva particolare.
Non si limitano ad intrattenere, ma assumono un valore pedagogico giacché sono coadiuvate ad un’incredibile varietà sul piano delle tematiche, dal migliore al peggiore.
Insomma, gli autori forniscono la propria interpretazione della realtà.
 
In Giappone, nonostante il persistente tradizionalismo, tramite questo settore (le cui stime dovrebbero aggirarsi attorno ai 5,5 miliardi) sono riusciti a risollevarsi dalla seconda guerra mondiale ed hanno trovato un nuovo modo per combattere le discriminazioni sociali.
In Cina vengono intruppati, in Francia vantano il primato a livello educativo; qua in Italia d’altro canto non facciamo niente. Pertanto certi comportamenti, figli di innumerevoli motivi, dovrebbero essere accolti in maniera diversa.
Voglio concentrarmi su una cosa: in molti attribuiscono al giornalismo una delle principali cause della situazione attuale del nostro paese. Francamente mi ritrovo in quelle parole.
In questo caso un argomento complesso quale la pedofilia fa da sfondo, allo scopo di condizionare il popolo italiano. Tutto viene enfatizzato, e l’informazione perde ogni qualsivoglia forma di validità.
Presumo sia questo il destino dei propri contenuti una volta ottenuti dei contratti onerosi con determinati sponsor, o sbaglio?
Cosa manca, dunque? L’equilibrio.
 
Inoltre spiegatemi in base a quale criterio un corrispondente di Pechino possa occuparsi di temi riguardanti un altro stato. Perché è questo che Visetti ha fatto.
Noi estimatori di questo prodotto puramente catartico abbiamo ben poco da recriminarci, questa vicenda ha messo in luce ulteriormente l’ipocrisia di una fetta consistente del sistema mediatico.
Alla prossima.

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