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lunedì 12 dicembre 2016

Black Jack – Dieci Indagini Nel Buio


Anno: 1993 – 2000
Formato: Serie OAV – 10 Episodi
Produzione: Tezuka Productions
Disponibilità: Yamato Video

“Sono convinto che i fumetti non debbano solo far ridere. Per questo nelle mie storie trovate lacrime, rabbia, odio, dolore e finali non sempre lieti” – Osamu Tezuka

I primi anni 70 sono considerati il periodo più difficile di tutta la carriera di Osamu Tezuka: la sua rivista COM è costretta a cessare ogni attività a causa di problemi aziendali, e come se non bastasse rassegna le dimissioni dalla Mushi Production, lo studio di animazione fondato da lui stesso nel 1961, il quale 2 anni dopo finisce in bancarotta, generando molto clamore a livello mediatico. Nonostante l’addio, decide di caricarsi sulle spalle tutti i debiti.
Inoltre, la critica reputa il suo lavoro ormai superato. Ai nuovi autori è permesso lavorare in un clima diverso rispetto a Tezuka, in quanto liberi dalla censura del dopoguerra e chiaramente più espliciti a livello di storia e tematiche. Ciò li rendeva più interessanti agli occhi dei lettori.
Come sempre, anziché farsi trascinare dagli eventi, risponde con grande caparbietà, realizzando in quella decade un numero elevatissimo di opere, più che in ogni altra fase della sua vita professionale.
Tezuka, una delle figure più importanti della cultura popolare nonché responsabile del boom dell’animazione televisiva in Giappone, deve però confrontarsi con un paese in crisi in ogni settore produttivo.
Nel 1973 gli viene richiesto di scrivere una serie in quattro parti al fine di celebrare i suoi personaggi più conosciuti. Black Jack, creato solo per mantenere continuità nella storia, vi appare per la prima volta.
Il successo riscosso è clamoroso: il manga si protrae per oltre un decennio, fino ad incrociare gli anni 80, epoca di mutamenti e globalizzazione, dove l’interesse per la cultura nipponica si espande a dismisura all’estero.
Per la realizzazione dell’opera tornano utili gli studi di medicina praticati da Tezuka presso l’università di Osaka.
Il mangaka diventa sempre più richiesto anche dai media internazionali, ma è solo dopo la sua morte che il geniale chirurgo spesso paragonato a Batman, ottiene la propria trasposizione animata.


Siamo nel 1993, e per la regia non viene chiamato un nome a caso, bensì Osamu Dezaki, stretto collaboratore di Tezuka, fra i fondatori della Madhouse nonché uno degli uomini più stimati alla Tokyo Movie Shinsa, il quale dopo un periodo trascorso fuori dal paese, rientra in patria nello studio di animazione aperto dal maestro 25 anni prima per gestire i suoi progetti fumettistici.
Il character design, particolare e con maggiore propensione verso i volti femminili, è del fidato Akio Sugino.
Al loro nome sono legate serie come Rocky Joe, Jenny La Tennista, Space Adventure Cobra e Caro Fratello.
Il lavoro viene rilasciato sul mercato degli OAV, formato redditizio che lungo gli anni ha permesso a numerosi registi di affinare la propria arte (Kawajiri su tutti), giacché utile a sperimentare tecniche alternative con un ritorno economico sicuro grazie alle licenze.
Dopo infatti numerose battute a vuoto nei cinema, si comincia a stringere i fondi evitando rischi.

Black Jack è un viaggio all’interno del folklore nipponico, una storia matura e d’avanguardia che rispecchia la realtà contemporanea, che adegua l’animazione ai canoni del cinema e della letteratura, libera da futili convenzioni narrative, che soddisfa anche gli spettatori più giovani cresciuti con videogiochi e musica pop, mischiando innumerevoli generi.
Si passa dal militarismo a vicende dai forti contorni storici e politici, evidenziando l’aspetto drammatico, attraverso una molteplicità di scelte stilistiche frutto della personalità poliedrica dell’autore, con un ritmo narrativo più lento e meno incline al pragmatismo.
Ci viene presentato un prodotto duraturo e versatile dove egli ha la possibilità di dare libero sfoggio alla sua fantasia con precisi rimandi sociali e talvolta ambientalistici, in un contesto privo tuttavia di riferimenti temporali.
Attraverso l’anticonformismo del protagonista, Tezuka rigetta tutto il proprio disprezzo nei confronti delle istituzioni mediche.

In “Dieci Indagini Nel Buio” affiora il significato della vita, di conseguenza scegliere la migliore fra queste 10 storie è un esercizio puramente soggettivo.
Inutile dire che siamo dinnanzi ad uno dei capostipiti dell’ambito preso in esame, ne raccomando pertanto la visione assieme al lungometraggio “La Sindrome di Moira” del 1996.

Voto: 8

domenica 20 novembre 2016

Capitan Harlock – L’Arcadia Della Mia Giovinezza

 

Anno: 1982
Formato: Lungometraggio
Produzione: Toei Animation
Disponibilità: Yamato Video

Oggi torniamo indietro nel tempo, nello specifico a quella che è ricordata come l’epoca d’oro, non solo dell’animazione giapponese, a causa del boom consumistico in vari settori, per parlare di una delle figure più iconiche e discusse di sempre.
Capitan Harlock è il personaggio più antico dello sterminato universo di Leiji Matsumoto. Risale al periodo del dopoguerra, quando un allora 16enne partì dall’isola di Kyushu fino ad arrivare a Tokyo per trasferirsi in un pensionato per studenti, colmo di speranze e sogni.
Come dichiarato recentemente, forse non li ha realizzati tutti, ma di sicuro ci è andato molto vicino.
Noi ci concentriamo sul 1982, quando ormai consacrato supervisiona un progetto serio e ambizioso: il debutto cinematografico dell’antieroe per eccellenza.
L’intento è quello di celebrare il ventennale della Tokyu Agency ma anche di pubblicizzare l’approdo della serie televisiva in autunno, ponendosi a tutti gli effetti come un prequel.
A capo della direzione artistica troviamo Tomoharu Katsumata, uomo fedele della Toei, già conosciuto per aver offerto il proprio contributo a serie mecha come Mazinger Z, Getter Robot e UFO Robot Grendizer.
Viene ripresa l’astronave del primo film di Galaxy Express 999, risalente a ben 3 anni prima. Sorgono anche dei contrasti, siccome il merchandising del primo è prodotto dalla Bandai, mentre Harlock tiene la Takara come sponsor.
Il nome Arcadia non è a caso, in letteratura allude al rapporto pacifico fra uomo e natura, elemento già ricorrente in un’altra delle sue serie: la Corazzata Spaziale Yamato. La Terra appare come un ambiente naturale da preservare.
Con sorpresa di molti, la sceneggiatura si compone attraverso una raccolta di storie brevi realizzate dal maestro in periodi diversi della propria carriera.
Una modifica in evidente controtendenza al cartaceo riguarda un aspetto che racconta molto della sua filosofia: il finale è sempre meno importante della motivazione che lo crea.
Per questo i suoi manga possono essere visti come inconcludenti. Tuttavia nell’anime ha dovuto necessariamente collaborare per soddisfare le esigenze della massa.
Il primo impatto è ricco di spunti: Matsumoto rappresenta una società no-global dove i regimi totalitari e il capitalismo privato hanno preso il sopravvento, soffocando e al tempo stesso manipolando le persone, dove la diversità non è ammessa.
Si espongono concetti che il pubblico di allora non comprende fino in fondo, basti pensare all’involuzione delle classi medie e alle macchine che ormai hanno finito per sostituire l’uomo.
La narrazione è prettamente incentrata su toni drammatici, richiede un’attenzione costante, e non disdegna le sequenze statiche.
Il tenore della pellicola permette alla psicologia dei PG di emergere: tutti i comprimari sono rappresentati in maniera viva, densa e complessa. E per l’unica volta abbiamo la possibilità di ammirare il protagonista innamorato, che sotto la bandiera del teschio combatte per i propri ideali.
A tutto ciò si aggiunge una regia eccezionale: grafica, fluidità delle animazioni e disegni che sovrastano gli standard dell’epoca.


In Italia è stato trasmesso in svariate occasioni, come nella consueta fascia pomeridiana diviso in 4 parti e in seconda serata negli anni 90.
Una nota dolente riguarda l’adattamento. Già nella serie del 1978 furono applicate pesanti censure.
Nella scena iniziale, tratta da una storia corta del 1973, dove i produttori giapponesi han voluto presentare il personaggio in età adulta, ci sono gravi stravolgimenti nei dialoghi: nell’originale parla l’antenato, mentre nella versione nostrana si sente il protagonista. E viene anche aggiunta una frase che lascia supporre la morte dell’avo, come se questo possa servire a giustificare in qualche modo.
Inoltre vengono eliminati tutti i riferimenti legati al fatto che il parente di Harlock appartenesse alla Luftwaffe.
Non è un segreto che Matsumoto abbia scritto numerose storie attorno alla figura di giovani piloti tedeschi calati nel contesto della seconda guerra mondiale.
Sempre nei primi minuti, quando la narrazione si sposta sul protagonista, c’è una frase sugli Illumidiani rivisitata: Harlock, infatti, si domanda con aria sconsolata se lo attende la fine, mentre in Italia tale concezione umana lascia spazio ad una banalissima frase di speranza. E questo elimina completamente il pessimismo che pervade l’opera e riempie la poetica del maestro.
Sottigliezze, direbbero alcuni, ma in realtà quanto appena menzionato costituisce solo una piccola parte dei disastri combinati. Cambiamenti inaccettabili anche se si pensa al target rivolto.


A dispetto del 75% (e sto basso) delle produzioni destinate alle sale cinematografiche nipponiche tratte da un franchise popolare, che non aggiungono niente alla storia principale, questo lungometraggio approfondisce uno dei temi su cui verte la prima serie, ovvero il passato fra il protagonista e Tochiro.
Narra le origini di una delle epopee più importanti nella storia dell’animazione con tutto il senso di rivalsa tipicamente nipponico, dinnanzi ad una battaglia già persa in partenza. Il prodotto mantiene i lineamenti caratteristici dei lavori di Matsumoto: fantascienza, western, tematiche di libertà e guerra, senza tralasciare la critica sociale e politica.
L’Arcadia Della Mia Giovinezza è un film imprescindibile per ogni fan della serie, ma si presta anche a bacini d’utenza più ampi, visto che si tratta di un prologo e può essere compreso da tutti.

Voto: 8

martedì 15 novembre 2016

Nanatsu No Taizai – The Seven Deadly Sins


Anno: 20142015
Formato: Serie TV – 24 Episodi
Produzione: A-1 Pictures
Disponibilità: Netflix


La grande popolarità di cui gode questo prodotto offre una panoramica inerente al pubblico che fruisce dell’animazione giapponese.
La narrativa fantasy, pur non essendo per caratteristiche concepita verso un target specifico, è quella che certamente riscuote maggiore successo presso gli adolescenti, specialmente nei paesi occidentali. E si sa, il mercato editoriale punta a massimizzare i guadagni.
In quest’epoca è veramente difficile trovare opere che si assumono rischi a livello contenutistico, poiché sponsor e network non mancano di far sentire il proprio peso.
L’osservatore non crea il mondo, ma gli da senso. L’originalità significa tutto e niente al giorno d’oggi, poiché è veramente difficile creare qualcosa di nuovo senza attenersi agli innumerevoli canovacci narrativi.
Esiste, tuttavia, la tendenza ad emulare nella speranza di ottenere il successo altrui, perché cavalcare l’onda e riprendere le atmosfere di Dragon Ball e One Piece è sempre più facile che partire da zero.
Nanatsu No Taizai non si presenta come un titolo di pura evasione, mira a sottolineare i valori più puri attraverso un linguaggio molto semplice e comune, mantenendo una narrazione fresca e leggera.
Si viene catapultati all’interno di un universo di cui l’autore stabilisce da subito regole e leggi, salvo poi incappare in qualche svista, come le gerarchie di forza che col progredire della storia appaiono sempre più confusionarie e dispersive.
Chi si cimenta con questo genere non può inoltre ignorare l’importanza della documentazione, che qui risulta solo abbozzata.
L’introspezione non è contemplata, il setting sociale e storico non è assolutamente all’altezza, e non viene nemmeno sviluppato a causa di una sceneggiatura più avvezza al fanservice esasperato, che strumentalizza la figura femminile a più riprese.
Sappiamo che il Giappone non è il paese più facile da questo punto di vista, come testimoniano le riforme attuate al termine dell’era Meiji, ma il modo in cui quest’opera relega la donna è degna delle peggiori commedie amorose del secolo scorso. Avrei anche potuto accettarlo negli anni 80, ma ormai il panorama nipponico è notevolmente cambiato.
Insomma, un inno alla mediocrità; un’opera imbarazzante, rivolta palesemente ad una frangia molto giovane, la quale brucia un incipit interessante all’interno del solito mondo stereotipato, attraverso una struttura narrativa abbastanza fiabesca che mescola comicità, azione e dramma proponendo temi e situazioni scontate. Il character design infantile contribuisce allo scopo.
Ricordate quando Mamoru Oshii (Tenshi No Tamago, Ghost In The Shell, ecc.) affermò di produrre film soprattutto per se stesso? Ecco, qui invece abbiamo la prova lampante di tutto ciò che racchiude la fredda logica del consumismo giapponese.
Per una persona che guarda anime incessantemente dal 2009, è veramente troppo.


Voto: 5